giovedì 27 marzo 2008

ADORO LE GARE D’ENDURANCE (Jeremy Clarkson – numero 5 di top gear)


Dal numero 5 di Top Gear


A voi le corse potrebbero non piacere. Io, invece, non ho mai capito come una gara possa essere tecnicamente possibile. Pensateci un attimo.
Chi è in testa, per fare una curva segue la traiettoria più breve , il che vuol dire che chi sta dietro deve essere per forza su una più lunga e perciò non può superare. E come si fa a passare uno in frenata ? Chi è davanti frenerà all’ultimo momento possibile, quindi chi è dietro deve attaccarsi ai freni oltre quel momento. Peggio ancora: deve frenare più forte perché sta andando più veloce e, per di più, è fuori traiettoria.
Di conseguenza, ogni tentativo può finire in un solo modo: con la morte prematura di chi insegue. Ecco uno dei motivi per cui non ho mai fatto fatica a dire di no quando qualcuno mi chiedeva di partecipare a una gara. Ci sono altre ragioni, poi. Le tute da pilota mi fanno sembrare ridicolo, la mia testa è troppo grossa e di forma strana per star bene dentro a un casco. E, quando arriva l’invito, per qualche ragione sono sempre impegnato a fare qualcos’altro: “oh mi spiace! Mi farebbe piacere, ma ho guardato nell’agenda e quel giorno sono impegnato a covare”. Una volta, però, ho ceduto. Era una gara per beneficenza a Silverstone e, sebbene si tenesse prima del Grand Prix, come auto avevamo delle misere Honda Civic. I miei avversari, poi, non erano super eroi, ma giornalisti e attori. Alla curva Stowe, al primo giro, ho messo alla prova la mia teoria sull’impossibilità di superare e ho visto che c’era qualche incrinatura. Sono riuscito a fare il sorpasso, ma non so come, perché ho chiuso gli occhi il momento in cui ho messo il piede sul freno. Ero così spaventato che ho cominciato a iperventilare, facendo appannare la visiera, Così il tizio che avevo superato mi ha subito ripassato. Il giro successivo, mi sono accorto che lo stavo raggiungendo di nuovo e che mi sarei ritrovato nella stessa situazione. Visto che ci avevo provato una volta e che l’esperienza non era stata piacevole, ho sollevato appena il piede dall’acceleratore, Nessuno se né accorto e cosi ho evitato di fare stupidi numeri da eroe delle curve. Tutti erano contenti e io sono arrivato terzo. Avevo la nausea e ho giurato che non avrei mai più corso. Quindi non so proprio come ho fatto a finire di nuovo a Silverstone per la Britcar 24. Ma so che mi sono divertito da pazzi anche se ciò mi fa incazzare.
Nella mia vita ho provato tutta una serie di hobby. Dal collezionare francobolli, al fai date, agli scacchi; ho praticato golf, tennis, ho dipinto quadri e ho guardato su internet i siti porno. Con i risultati invariabilmente deludenti. Quindi all’età di 47 anni, quando ormai è troppo tardi, ho scoperto qualcosa che non solo riesco a fare, ma che, soprattutto, adoro: le gare di endurance. A prima vista sembrano normali corse automobilistiche.
Ci sono i morhome, i computer portatili e la gente che indossa le camicie con i loghi degli sponsor.
Ma c’è una differenza… Nella prima parte della gara tutti vogliono fare quante più ore possibili, nella seconda tutti vogliono finire. Ciò vuol dire che quando si vuole superare qualcuno, il sorpassando si toglie in fretta dai piedi. Non ci sono zuffe come nelle altre gare.
E quello che l’ha reso ancora più piacevole è che la nostra piccola Bmw diesel, comprata di seconda mano per 15 mila euro, era una vera gioia da guidare.
Pur con la centralina taroccata, non era per niente veloce. Ma con sospensioni più dure e assetto ribassato, gomme slick e freni più grossi faceva le curve e teneva la strada da Dio. Dalla curva Sotwe fino al rettilineo dei box, riusciva a stare dietro a quasi tutti, fino alle Porshe 911 incluse.
Era davvero spettacolare. In verità bisogna dire che in Endurance non si corre mai con le altre vetture. Quando di notte si vedono in lontananza le luci posteriori di un concorrente, non si sa chi è, in che classe è, se è avanti di 200 giri o indietro di 300. Quindi non è proprio una gara. Quello che si fa in realtà è competere quasi tutto il tempo con i propri compagni di squadra, cercando di fare meglio di loro. Purtroppo, nel mio caso, non c’era nulla da fare: non sarei riuscito ad andare come The Stig anche se avessi attivato la velocità warp al pari dell’Enterprise. Senza voler essere troppo sleale. May e Hammond erano un po’ scarsi. Di conseguenza, non ho fatto altro che correre contro me stesso, cercando di migliorare i tempi gito dopo giro, diventando sempre più fluido e sempre meno aggressivo verso le gomme. Di sicuro ciò mi è riuscito meglio di fare le mensole o giocare a golf.
E, finalmente, ho cominciato a capire tutto quel discutere di corse che si fa.
Quando le gomme si deteriorano, si sente proprio che l’aderenza se ne và. E quando abbiamo perso l’alettone anteriore, che avevo messo solo perché stava bene, abbiamo perso perso anche 4’’ al giro. Incredibile quello che può fare un pezzo di compensato. Ma è la notte che mi è piaciuta di più. Impostare una curva che non si vede e sentire le gomme che accarezzano i cordoli aveva del miracoloso, a volte mi pareva di sognare. Al contrario, impostare una curva che non si vede e poi scoprire che non c’è perché si trova da tutt’altra parte è roba che fa gelare il sangue. Come risultato di queste emozioni diverse, non ci si sente mai stanchi.
Nemmeno quando le gomme sono andate o il serbatoio è vuoto e bisogna fermarsi ai box. Stai seduto lì, con tutti che ti invitano ad andare a riposarti, ma non puoi perché il tuo sangue è effervescente come champagne e sei troppo eccitato.
Stranamente, tuttavia, non ho mai avuto la sensazione di trovarmi in pericolo. Tutti pensano che le gare siano la soglia dell’aldilà, ma a Silverstone, in una Bmw diesel, sembrava pericolo come prendere il sole in una sdraio. Forse perché le barriere sono così lontane: sarei morto di vecchiaia prima di andarci a sbattere contro. Però, questo non è divertimento a buon mercato. A parte il costo dell’auto e le relative modifiche, il conto per le gomme alla fine è stato di oltre 8 mila euro.
Comunque, chiunque si impegna nella ricerca della felicità non dovrebbe preoccuparsi del denaro. Dopo tutto è stato inventato per essere speso. E non mi viene in mente nulla di meglio per cui spenderlo. Oh, nel caso pensiate che questi sono i vaneggiamenti di un vecchio rintronato convinto che avrebbe potuto diventare Schumacher se ne avesse avuto l’opportunità, considerate che James May condivide in pieno le mie parole. L’anno prossimo mi sa che lo rifaremo.

Nessun commento: